La ruota libera dal cerchio

Senza la ruota non ci sarebbero le bici e non ci sarebbero i cicloamici. Breve storia di una invenzione tecnica che si tramuta a simbolo. Riceviamo questo dono dalla Stella del Mattino, comunità buddista zen italiana

Non è banale il motivo per cui, gli abitanti del Nuovo Mondo, sino all’arrivo dei Conquistadores, non conoscessero la ruota: non vi erano animali adatti a trainare un veicolo.

Così, privi di forza motrice, i carri rimasero -anche- senza ruote. In realtà, pare che nelle Americhe i cavalli ci fossero, almeno sino a 10.000 anni or sono (1). Scomparvero assieme ai mammut, forse per gli stessi motivi. Ovvero: chissà perché.

Ma anche qui, nel Vecchio Mondo, il carro non è stato tra i primi pensieri dei costruttori di ruote. Si suppone, infatti, che all’inizio le ruote fossero adibite a torni per modellare l’argilla(2). Giravano, giravano, ma non andavano da nessuna parte.

Vasaio al lavoro sul tornio (ceramiche colì cutrofiano)

Non ostante ciò, qui da noi, la ruota deambulante ha storia antica: la prima immagine che ne documenta l’esistenza risale al 2.500 a.C.; di quell’epoca è infatti il cosiddetto ‘Stendardo di Ur’ (3) , prima testimonianza certa della sua esistenza.

Stendardo di UR con la comparsa dei carri con le ruote. Nell’eccezionale reperto le ruote sono rappresentate piene, ottenute da due metà assemblate.

Ora le ruote hanno invaso il mondo: non c’è oggetto meccanico che non ne possieda almeno una, piatta o allungata, dentata o liscia, di gomma, di plastica o d’acciaio.

Nel 2000 a.C. ecco che, nella ruota, compaiono i raggi (4) : praticamente gli antenati di quelli dell’attuale bicicletta.

Ruota a 4 raggi raffigurata su una moneta siracusana

Il tempo passò e quell’oggetto, a cui oggi quasi non badiamo, tanto è comune, acquistò una grande importanza, al punto da essere usato, assieme al cerchio (5) , per trasmettere i significati più diversi e misteriosi (6) . Il cerchio è l’idea, la ruota la sua imperfetta realtà concreta; e poi, in una sorta di rivincita sulla materialità, il cerchio, vivendo nel mondo delle idee, potrebbe esibire anche quella di centro; privilegio negato, in teoria, alla sua irregolare parente materiale.


Nel VI secolo a.C., in India, la ruota con i raggi era un oggetto così fondamentale da assurgere a simbolo di quello che vi è di più importante. Per alcuni secoli, almeno sino al II-III secolo a.C., il Buddha non fu mai rappresentato nelle sculture, nelle pitture, nei bassorilievi e nemmeno descritto nei discorsi (7).

Ruota della preghiera, Sanchi II secolo AC

Al suo posto, in mezzo alla scena, un simbolo e spesso quel simbolo era una ruota a otto raggi. L’uso di quel segno non fu prerogativa delle sole arti visive: quello che la tradizione considera il primo discorso pubblico del Buddha si chiama Damma-cakka-pavattana sutta, Il discorso della messa in moto della ruota del damma (dharma in sanscrito). La ruota del veicolo che conduce oltre il cielo, ferma da tantissimo tempo, fu messa in moto e cominciò a girare.
Anche in quell’epoca, l’attrito radente era maggiore -molto maggiore in questo caso- dell’attrito volvente, sempre più arrendevole e fluido. Porre in movimento quella ruota richiese una trasformazione e una capacità sovrumane: l’attrito che si genera all’inizio del procedere in direzione opposta al desiderio, al volere e al non volere essere legati alle persone e alle cose del mondo, è il più grande.

Ruota di carro a 8 raggi scavata nella parete del tempio del sole a Konark, in India.

Questo per ciò che riguarda la parte esterna, la corona, dove si generano gli attriti che, qualora vinti, permettono il moto. Subito all’interno, essa aveva otto raggi: per continuare a girare senza collassare sul proprio centro (ancorché immaginario), ogni ruota abbisogna di sostegni, in questo caso presenti in numero di otto. Un raggio era fatto di sguardo limpido, il secondo di intento buono, un altro raggio era fatto di parole riguardose, il quarto era composto da azioni sincere, il successivo era quello che sovrintende a un onesto modo di guadagnarsi il pane, poi c’era il raggio seguendo il quale lo sforzo vitale non si sviluppa nel prendere ma nel suo opposto, il settimo era il raggio della cura che nasce dall’attenzione, infine quello di chi non si distrae in mille inutili cose.

Costruzione di un mandala

Ecco perché quella ruota si era messa in moto: vi era finalmente qualcuno che, assiso nello spazio immobile dove si incontrano tutti i raggi, manifestava l’unico modo possibile per farla girare. Il miracolo era sì palese che l’Autore non si vedeva: al suo posto la ruota in movimento. Con i raggi sfavillanti.

Sono trascorsi millenni, la ruota continua a girare; ad ogni generazione vi è stato qualcuno disposto a scomparire affinché il miracolo si ripetesse, offrendo a tutti la via che conduce alla libertà.

Note

1. Cfr. https://urly.it/35_-b
2. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Ruota
3. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Stendardo_di_Ur
4. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Ruota#/media/File:Wheel_Iran.jpg
5. Nella cultura buddista indiana, il cerchio chiuso è stato usato come simbolo della ripetitività inesorabile dell’errore che mantiene legati alla vita del mondo.
6. Cfr. https://urly.it/35att nei discorsi
7 . https://www.lastelladelmattino.org/mono/arte

A cura della Stella del Mattino, comunità buddista zen italiana maggio 2020

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