Percorrere il Salento alla Scigghiata maniera

Un’associazione sportiva dilettantistica alle prese con un esperimento di cicloturismo

Il racconto dell’esperimento

In un mondo che ad opera dell’uomo cambia e consuma rapidamente tutti i beni materiali a propria disposizione, solo la natura resta sempre uguale a sé stessa, mutando solo per ciò che è strettamente necessario alla vita stessa.

Lo possiamo dire dopo aver attraversato coi pedali un territorio antico e ricco di beni preziosi in termini archeologici, gastronomici e paesaggistici come il Salento.

È stato così che 10 amici di un gruppo sportivo, di età disomogenee e distanti, decidono di avventurarsi in un’esperienza del tutto nuova a metà – o sarebbe meglio dire a tre quarti, tra l’avventura sportiva coniugata a quella cicloturistica.

La preparazione è stata a dir poco maniacale, al limite del parossismo, non avendo il gruppo competenza pratica della costruzione di questo tipo di attività. Nonostante questo le sorprese non sono certo mancate. 

L’unica concessione alla comodità il trasporto bagagli pensato con una macchina di supporto. Eccetto questa, da subito si è optato per un esperimento green di quasi totale immersione nel pedale. Si è partiti in treno, arrivando in bici da San Vito dei Normanni alla stazione di Carovigno situata poco fuori il paese. Un po’ di ansia per paura di non trovare disponibilità nella carrozza adibita al trasporto bici, presto superata dall’incontro fortuito con un gruppo ciclistico sportivo che viaggiava in senso contrario. Buona notizia. Sembra che il trasporto bici in treno stia diventando una opzione diffusa.

sul treno con trasporto bici si parte verso il tour del Salento

Mentre si era in attesa, quasi ad accompagnare e forse anche benedire questa avventura ciclo-turistico-sportiva l’incontro alla stazione, anch’esso fortuito, con Francesca una rappresentante di Fiab cicloamici, anche lei iscritta bontà sua ad un gruppo sportivo di Brindisi. Lei è in viaggio per lavoro, ma ci ha ampiamente rassicurato su ciò che stavamo per fare.

All’arrivo alla stazione di Lecce, ultimi preparativi per rassettare le bici, tutti pronti per intraprendere l’avventura. L’uscita dalla città ci ha riservato una prima sorpresa: piste ciclabili ovunque ci hanno accompagnato fin fuori il paese, prima ad Acaya col suo magnifico castello poi in direzione riserva delle Cesine. Bellissima. Qualcuno di noi c’era già stato in altre occasioni, ma rinfrancarsi lo spirito con una bella immersione nel verde di buon mattino è una sensazione che non ha prezzo.

L’arrivo a Roca ci ha riallineati ad uno degli scopi del viaggio. La vista di questa antica città messapica lascia sempre il fiato sospeso. Abbiamo provato a percorrerla in bici, ma l’impresa si è rivelata ardua e pericolosa, abbiamo desistito. L’arroccamento dell’antico borgo funziona anche nei tempi moderni.

Superata Roca, subito Torre dell’orso, che ci ha iniziato a far intravedere la costa tipica del lato adriatico di questa parte del Salento. Un susseguirsi di scenari mozzafiato ci ha accompagnato fino alla meta successiva: i laghi Alimini.

Dopo aver attraversato una bella boscaglia ed una larga radura, ecco apparire da lontano il primo dei due bacini. Una breve discesa ci ha portato al bordo di Alimini grande. Lì, ad aspettarci, una piccola anatra che ha fatto capolino e chissà, magari l’occhiolino. Non ce ne siamo accorti però, perché abbracciavamo con lo sguardo il paesaggio godendo della tranquillità che ci infondeva la calma delle acque chete del lago.

Fino a quel punto eravamo gasati, tutto procedeva nel migliore dei modi. Ci ha raggiunto Rosellina, la moglie di Giovanni, l’unico nel gruppo ad avere esperienza di viaggi a lunga percorrenza, e che esperienza… Rosellina ha iniziato il suo lavoro di conforto consigliandoci una breve sosta al bar per rinfrancare la fatica: ci aspettava un panino e delle ottime pizze cotte al momento. 

Riprendiamo il viaggio, ci attendeva la magnifica Otranto con le sue viuzze piene di turisti. La città appare completamente trasformata di anno in anno, sempre più “très chic”, piena di turisti di ogni etnia. Li abbiamo importunati anzi, nonostante l’ora che dovrebbe essere tranquilla, quella del primo pomeriggio. Nel Salento viene appellata la “controra” quasi a sottolineare che l’unica cosa che dovrebbe essere concessa in questa sospensione del tempo giornaliero è il riposo, non certo pedalare. Ma noi, nulla. Su, su fino al Castello, come sempre ormai pieno di mostre ed eventi. In questi tempi c’è la mostra di Maria Corti. Dimostriamo ignoranza, quando per caso l’organizzatrice ci vede e stupita dalle nostre divise – appariscenti certo, ma le indossiamo con orgoglio, ci chiede se conosciamo l’artista che ha scritto anche di Otranto, dove ha trascorso quasi tutte le sue vacanze estive e su cui ha ambientato un romanzo. Subito ci chiede di fotografarci davanti all’ingresso. Dopo un po’, con nostra sorpresa, ricambia con un cuore la storia pubblicata sul profilo Instagram dell’associazione.

Il gruppo all’ingresso del castello di Otranto insieme all’organizzatrice Paola Moscardino

Via per le cave di bauxite un paesaggio marziano per l’ossido di ferro estratto e poi abbandonato. L’azzurro della pozza d’acqua che si è creata nello scavo risalta sotto la luce del sole e il giallo delle maglie ancora una volta attira l’attenzione dei turisti che chiedono di poterci fotografare. Uno di loro viene proprio da San Vito dei Normanni, si approfitta, come spesso succede per raccontarsi le appartenenze familiari dei presenti.

sulla cava di Bauxite con il compaesano

Il nostro viaggio continua fino al faro di punta Palascia, purtroppo non accessibile per i lavori. Tuttavia, come ci ricorda Veronica della Dora nel suo ragguardevole saggio “Come ogni punto di riferimento, i fari hanno una straordinaria capacità di attrarre sguardi e ricordi e di avvolgerli in un carismatico abbraccio” così sicuramente anche per noi.

il faro di Punta Palascìa

Fino a questo punto il viaggio procede nella maniera migliore, un po’ stanchi ma sicuramente ebbri delle bellezze che stavamo cogliendo con gli occhi. Una repentina deviazione ci fa scendere giù a capofitto lungo un ripido sentiero, in parte fortemente scavato dalle acque meteoriche, col pericolo dunque di farsi del male. Qui è la parte sportiva che prevale, tanta attenzione e riflessi pronti. A molti non era chiaro dove eravamo direzionati, fin quando non è apparsa la grotta della macchia, un’apertura carsica che dall’alto domina completamente la radura e la scogliera sottostante. Probabilmente facile rifugio per chi accompagnava le greggi al pascolo e per questo denominata anche grotta del pastore. 

la grotta della Macchia anche detta grotta del pastore nei pressi di Tricase

La risalita lungo i sentieri del Parco Naturale e bosco di Tricase, con l’arrivo a Porto Badisco è stata sicuramente la parte più difficoltosa del viaggio, in parte per la vegetazione resa alta dalle tante piogge di questo periodo, che nasconde completamente i tratturi da percorrere, in parte per la necessità di superare, bicicletta alla mano, le scogliere prima dell’arrivo all’insenatura che la storia narra essere stato l’approdo di Enea. La vista però ci ha stupito e riempiti di meraviglia ripagandoci della fatica fatta per raggiungere questo mitico luogo. 

Porto Badisco, l’approdo di Enea

Fortunatamente il prosieguo del percorso è stato relativamente tranquillo, solo lunghe faticose salite e brevi piacevoli discese, metafora della vita come spesso mi capita di raccontare agli amici.

Castro bellissima. Al pari di Otranto si prepara per la stagione turistica e si candida ad essere località molto esclusiva. Poi Tricase, Marina Serra e Novaglie a quel punto stanchi non vedevamo l’ora di arrivare a Leuca. 

Sfortunatamente ci attendeva una sorpresa non proprio piacevole: il transito dalla baia del Ciolo attraverso il suo ponte. Famoso per i tuffi in mare eseguiti dai ragazzi del luogo, per esibire davanti agli altri il proprio coraggio, non si è lasciato nemmeno “ammirare” tanto era transennato. Nessuna possibilità di intercessione per i già affaticati ciclisti. Nulla da fare, si torna indietro. Ci aspetta una lunghissima salita, pareva interminabile, fino a Gagliano del Capo. Arrivati su in paese si corre dritti al faro per la foto di rito, poi fino al resort che ci aspetta per rinfrancare lo stomaco e riposare le membra.

La cena, già accuratamente preordinata, prevede un menù ricco e completo, più che bastevole per un pasto ordinario. Non affatto per il nostro appetito – per non dire proprio fame… suscitato da un’intensa attività motoria. Il festeggiamento di un giovane settantenne che celebrava il proprio compleanno e l’incontro fortuito con un famoso attore italiano ospite della struttura, anche lui attratto dal nome dell’associazione e dalla relativa richiesta di “traduzione”, introduce una sana allegria nel gruppo nonostante la stanchezza di tutti. Mercanteggiamo –poco– con il direttore per farci offrire un amaro davanti alla fantastica piscina del resort Messapia. Davvero un bel posto, non c’è che dire.

Al mattino dopo tutti insieme a fare colazione e subito pronti per la partenza. Prevista più breve stavolta, ma non meno interessante. Si rientra dal versante jonico, più pianeggiante poi si punta verso l’interno per arrivare a Lecce. Ci indirizziamo verso Torre Vado e Pescoluse una foto tutti assieme stretti, stretti sulla panchina gigante delle Maldive del Salento.

stretti sulla panchina sotto all’ombrellone

Si rientra nell’entroterra lungo il canale dei Fani, dove i ritrovamenti archeologici hanno messo in luce l’esistenza di un preistorico abitato, poi Messapico, quindi medioevale con gli immancabili monaci basiliani, per arrivare fino alla cosiddetta valle degli elefanti, alberi di ulivo sopraffatti dalla xylella che, a causa dell’invasione dell’Ipomea si innalzano maestosi assumendo con il loro cascame di foglie la forma dei più noti pachidermi. Il fogliame è rigoglioso ed attraversare la radura ha presentato qualche difficoltà, non ultima quella di percorrere alcuni tratti bici alla mano. Il cascame verde degli elefanti è secco, speriamo solo per un breve periodo, facendo assumere agli “elefanti” il colore grigiastro che, nella realtà, più gli si addice.

Lunga corsa tra sterrati e stradine di campagna per raggiungere Acquarica del capo-Presicce. I due paesi precedentemente divisi solo da un incrocio, recentemente hanno saggiamente deciso di unirsi. Le stradine del paese riunito sono percorse a piedi da forestieri, accompagnati da simpatiche guide turistiche che indicano i dettagli e narrano la storia del posto. Ci fermiamo alla fontana pubblica, il calore montante di questa strana primavera ha reso maggio un mese “a sorpresa” dal punto di vista metereologico. Il che non aiuta a pedalare. Ci soccorrono invece i sentieri della Madonna della Serra, rinfrescandoci dal caldo montante. Sebbene irti sono ombrosi a sufficienza per riparaci dal sole, sembra quasi di percorrere stradine di montagna con le palizzate in legno che delimitano il sentiero. L’arrivo al santuario ci coglie con una triste notizia, il cuore di un amico all’improvviso non ce l’ha fatta.

il tratturo che porta alla chiesetta della Madonna della Serra

Riprendiamo mesti il percorso. 

Ancora tratturi, strade bianche da cui si solleva la polvere che, unita al caldo fa ampliare la sete. Per fortuna Gigi ha con sé una riserva d’acqua per soddisfare un esercito. Lo abbiamo preso in giro prima, ma adesso lo benediciamo tutti.

All’arrivo a Cutrofiano siamo sufficientemente provati. La vista di Rosellina che ci aspetta con la sua Punto pare un miraggio: acqua, biscotti e soprattutto qualche birra fresca. Afferma che tutto sommato si è sentita la mamma di tutti noi. Lo confermiamo. 

Un buon caffè con ghiaccio ci rende di nuovo in grado di ripartire. La strada è ancora tanta. Un veloce sguardo alle bianche strade del centro di Galatina e poi dritti verso il treno del rientro. Dopo questo ci aspetta ancora una piccola fatica per risalire verso Carovigno: ben poca cosa dopo tutto quello che abbiamo fatto, si ha ancora tempo e voglia per scherzare e per riprometterci

un’altra avventura di tal fatta.

Scheda tecnica del percorso

Andata da Lecce a Leuca

Lunghezza 119 km
Durata 8 ore circa
Ottimo allenamento richiesto. Richieste abilità di guida avanzate
Single track e sentieri 39,60
Pista ciclabile: 2,45 km
Strada secondaria: 4,61 km
Strada: 42,5 km
Strada statale: 30,0 km
Asfaltata: 63,0 km
Pernotto preso Messapia Hotel & Resort
Stanze matrimoniali o triple
https://www.messapia.com

Ritorno da Leuca a Lecce
Lunghezza 92,3 km
Durata 5:55
Ottimo allenamento richiesto. Richieste abilità di guida avanzate
Singletrack e sentieri: 28,16 km
Pista ciclabile: 2,23 km
Strada secondaria: 4,12 km
Strada: 53,5 km
Strada statale: 4,39 km
Asfaltata: 47,7 km

Mappa del percorso degli Schigghiati

Riferimenti bibliografici

Veronica della Dora “Dove nel buio la luce dimora”, Einaudi
Paola Moscardino “https://www.instagram.com/festivalmariacorti/”
Immagini scelte e curate da Francesco Nigro

1 commento su “Percorrere il Salento alla Scigghiata maniera”

  1. Sicuramente un’esperienza meravigliosa. Percorsi immersi nella natura ci hanno fatto respirare i profumi della nostra terra. Un gruppo di persone amanti della bicicletta ha affrontato questo viaggio con lo spirito del divertimento. Sono stati momenti gioiosi che hanno rinsaldato i nostri rapporti. Gli organizzatori sono stati impeccabili nello scegliere i percorsi e i posti più suggestivi del nostro Salento.
    Un ringraziamento al presidente,a tutto il gruppo, e a Piergiorgio che ha colto ogni momento del nostro viaggio raccontando in modo encomiabile questa bellissima esperienza. Grazie siete stati i compagni di viaggio ideali, un abbraccio a tutti, e buone pedalate.

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